venerdì 6 giugno 2014

I FANTASMI DI NOLA

Il Comitato di lotta cassintegrati e licenziati  Fiat di Pomigliano ha protestato ieri mattina davanti al Reparto Logistico della Fiat a Nola, simulando un suicidio con un manichino appeso ad un palo di legno con una corda intorno al collo.  
I manifestanti hanno voluto così ricordare gli operai in CIG che si sono tolti la vita in questi mesi, ultima Maria Baratto che si è uccisa la scorsa settimana nella sua casa di Acerra.
Al manichino suicidatosi per impiccagione, simbolo dei tanti che non riescono a sopravvivere, vittime di questo sistema, colpito a morte dalla crisi, è stato dato un volto. 
Quello di  Sergio Marchionne.  
 Sul cartello attaccatogli addosso c'è scritto: «Il mio lascito primo del mio ultimo respiro:
Preso atto del mio piano fallimentare chiedo agli

Agnelli, ai politici, ai sindacati: quelli che verranno dopo di me, se ci sarà la conduzione manageriale f.c.a, spero che siano non attenti solo al profitto ma al benessere dei lavoratori licenziati e cassintegrati. 
Inoltre chiedo come atto di clemenza la riassunzione di tutti i 316 deportati a Nola nello stabilimento di Pomigliano D'Arco. Chiedo perdono per le morti che io ho provocato».

Alle indignazioni giornalistiche e mediatiche, così ha risposto il Comitato:

«Tutti si indignano per la protesta choc messa in atto ieri davanti al polo logistico fantasma di Nola da parte degli operai del Comitato di lotta Cassintegrati e licenziati FIAT.
Marchionne che virtualmente si impicca chiedendo perdono per i suicidi di operai provocati dalla sua politica e che fa un appello “agli Agnelli ai politici e ai sindacalisti di non essere attenti solo al profitto ma di pensare al benessere dei lavoratori, cassintegrati e licenziati, e chiedendo che i 316 deportati a Nola siano riassunti nello stabilimento di Pomigliano”.
Si indigna Tavella, segretario CGIL campano: “I manichini impiccati non mi sembrano … di buon gusto”.
Si dissocia il buon Peppino Gambardella, parroco di Pomigliano: “Per me bisogna cercare sempre il dialogo, anche attraverso il confronto duro, non con queste cose”.
La FIAT è “indignata” per l’iniziativa di “cattivo gusto”.
Queste sono solo alcune delle reazioni riportate dai giornali.
La nostra incruenta manifestazione ha toccato la sensibilità di molti benpensanti.
Questi stessi benpensanti però, non si indignano allo stesso modo quando Marchionne condanna al lavoro bestiale la metà degli operai FIAT e, l’altra metà, alla miseria della cassa integrazione e alla disperazione per la mancanza di certezze sul futuro.
E per quale nobile motivo, Marchionne, sostenuto dagli azionisti FIAT, fa tutto questo?
Perché spremendo gli operai occupati con l’aumento dei ritmi, si appropria sempre di più del loro lavoro non pagato. 

Il risultato è che lui guadagna ogni anno, tra stipendio e “benefit”, la piccola cifra di quarantasette milioni di euro. 
Mentre agli operai che si consumano sulle linee “toccano” millequattrocento euro al mese, e ai cassintegrati la miseria di ottocento euro al mese.
Questi benpensanti non si indignano allo stesso modo quando Marchionne licenzia gli operai che cercano di difendere i propri diritti. 

Non si indignano per le pressioni che la FIAT fa sui giudici nelle cause di lavoro. 
Non si indignano quando la magistratura, nonostante le pressioni, ordina il reintegro e la FIAT, illegalmente, non rispetta i verdetti e tiene fuori per mesi, anni, spesso senza stipendio, gli operai reintegrati.
Noi operai riflettiamo sull’ “indignazione” a senso unico di questi benpensanti e ne traiamo le conseguenze”.
 

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